Intervista con Viennetta - Tra salute psicologica e opinioni sul panorama artistico italiano

Y: Raccontaci un po’ di te e del tuo lavoro, il tuo stile artistico e medium prescelto, qualsiasi cosa riguardante la tua arte che ritieni importante. 

V: Ciao! Premetto che sono abbastanza prolissa, quindi può essere che le risposte risultino molto lunghe. Mi chiamo Betta, o El, ma il nickname che uso online è “Viennetta”; il nome viene da un mio vecchio account personale, in realtà. I miei amici hanno progressivamente cominciato a chiamarmi così e devo dire che mi è sempre un po’ appartenuto, essendo che era il dolce che mi prendeva sempre mia nonna quando ero piccola. Inoltre fa anche rima con il mio nome, Betta!

Ho 25 anni, e sinceramente mi sento vecchia. La mia ansia mi spinge a pensare di essere in ritardo, ma fortunatamente sono circondata da persone che si sono affermate anche a 35/40 anni, quindi ho molti esempi che riescono a tenermi ancorata alla realtà. Sono di Torino; più precisamente, vivo nei dintorni della città, nelle montagne, in mezzo alle capre.

Per quanto riguarda il mio stile artistico, posso dire che prediligo un tratto caratterizzato da una forte influenza “manga” - ho provato a rendere il mio stile più cartoon, in realtà, e a volte ci riesco! Generalmente, i disegni in cui utilizzo questo stile specifico sono dei tributi a cartoni animati del passato, o dei mezzi per svuotare la mente. 

Al momento il mio medium di base, e quello che sento nel cuore, è il tradizionale: specificatamente l'acquerello. Mi dispiace averlo accantonato un po’, di recente, ma ogni tanto devo disegnare in digitale altrimenti perdo la mano, e non vorrei perdere gli sforzi fatti fino ad ora. Tornando al tradizionale, preferisco sketchare a penna: mi sembra di disegnare in modo più fresco, soprattutto perché non posso cancellare - è solo così che mi rendo conto di dove faccio errori e di come posso risolverli! Questo metodo mi è stato tramandato da un professore tempo fa, e devo dire che mi ha aiutato molto a crescere. Per quanto riguarda il digitale, invece, cerco di emulare ciò che faccio su carta, utilizzando spesso e volentieri dei pennelli “matitosi”.

 

Y: Com’è il panorama dell’arte nel territorio in cui vivi, o da cui provieni?

V: Essendo nata a Torino, trasferendomi successivamente in montagna a causa di questioni famigliari, posso dire di aver avuto modo di vedere due tipi di opinioni riguardanti l’arte. Inoltre, ho vissuto anche delle piccole esperienze in Francia e in Repubblica Ceca, queste occasioni mi hanno permesso di vedere un punto di vista completamente diverso.

Nel paesino nelle valli l’arte viene vista come una presa in giro, neanche i professori di arte prendevano seriamente gli studenti interessati all’ambito. Ricordo che alle medie un’insegnante di arte aveva dato un compito e io avevo deciso di fare due versioni da consegnare, e dove i miei compagni si chiedevano perché mai avessi fatto il doppio dello sforzo, la professoressa aveva pensato addirittura che le mie intenzioni fossero di sovrastare il suo metodo di studio, decidendo quindi di mettermi solo la sufficienza, sebbene il lavoro fosse perfetto. All’esame di terza media, inoltre, la stessa insegnante mi aveva presa in giro perché avevo espresso il volere di andare al liceo artistico, dicendo che una persona disordinata come me non ce l’avrebbe mai fatta. Generalmente, ero l’unica che disegnava, soprattutto in ambito di manga e cartoon: un pesce fuor d’acqua. 

In città, invece, ho avuto modo di conoscere altre persone. Da un lato è stata una svolta molto positiva, dall’altro ho conosciuto l’esistenza della competizione per la prima volta: quando qualcuno era migliore di me scattavano automaticamente le insicurezze, mentre quando ero io la migliore in qualcosa, sentivo subito la negatività dell’invidia che mi impregnava i vestiti. Detto ciò, gli insegnanti in città avevano un metodo diverso di vedere le persone e l’arte in generale! Ci trattavano come artisti veri e propri, senza considerarci come dei sempliciotti che non sarebbero mai andati da nessuna parte nella vita.

In città, inoltre, ho avuto modo di conoscere il mondo dei Collettivi: a Torino ne esistono moltissimi, sia underground che classici. Purtroppo, si stabilisce spesso una sorta di elitismo che preclude a molti la possibilità di fare esperienze e unirsi a questi gruppi di artisti. Come se non bastasse, il mio genere di disegno viene sempre visto come una via di mezzo, un punto di appoggio e non uno stile definitivo, specialmente in ambiti professionali: a volte non viene accettato il mio portfolio da case editrici, perché è “troppo manga” - non acerbo, solo “troppo manga”. Secondo molti professionisti nell’ambito esistono solo due opzioni: o ti conformi ad uno stile Europeo o Americano, o vai a lavorare in Giappone.

Detto ciò, di recente ho avuto modo di vedere una sorta di evoluzione da parte del mondo dell’editoria, ma è davvero ridotta ora come ora. Se continuiamo così, quando avverrà una svolta degna di nota avrò ormai 60 anni.

 

Y: Cosa ti ha spinto ad entrare nel mondo dell’arte digitale? Come hai cominciato il tuo percorso artistico? Raccontaci del tuo corso di studi. Hai studiato qualcosa di specifico riguardante l’arte o il tuo interesse è nato da altro?

V: Come tante persone che conosco, disegno da quando ho memoria: quando ho preso coscienza avevo già le matite in mano. L’arte è stata una costante nella mia vita: a sette anni non sapevo ancora scrivere e non riuscivo a comunicare, scrivevo le lettere al contrario e da destra verso sinistra, mentre io le vedevo giuste - crescendo, non nego che questa cosa mi abbia segnato moltissimo. Non riuscendo a scrivere e a comunicare, non parlavo molto per paura di venire presa ulteriormente in giro. Per ovviare a questo problema, alle elementari ho cominciato a portarmi dietro dei quaderni su cui disegnavo i simboli corrispondenti a ciò che volevo dire. Ovviamente, ho poi imparato a comunicare normalmente, ma l’importanza dei disegni non è mai venuta meno. Ho scritto e disegnato il mio primo fumetto a 8 anni, lo avevo ripassato tutto con le penne nere e colorato a matita, si chiamava “Super Bilboy”; ne ero fierissima e volevo sempre mostrarlo a tutti. Volevo diventare famosa come Topolino, già a 8 anni. 

La mia svolta nell’ambito artistico è stata quando, alle medie, ho conosciuto il mondo dei manga. Ero assolutamente innamorata di qualsiasi cosa fosse “gotica”: posso dire che D.Gray-man abbia letteralmente cambiato la chimica del mio cervello, dovevo disegnare così, a tutti i costi. Un’altra grandissima influenza è stato il cartone di “A Tutto Reality: L’Isola”!

Costretta dai miei, ho frequentato un anno di Liceo Scientifico dove regnava la stessa mentalità che era presente alle medie: bullismo e ignoranza regnavano sovrani, soprattutto per quanto riguardava la passione per gli argomenti meno gettonati, come manga “oscuri” e qualsiasi cosa riguardasse il Giappone. Non sopportando più la situazione in cui mi trovavo, ho deciso di farmi bocciare e ho ricominciato da zero in un Liceo Artistico in città, dove ho incontrato altre persone come me tra i miei compagni! I professori, invece, erano molto fissi solo sull'ambito umanistico e lasciavano poco spazio per la creatività all’interno delle lezioni di arte, infatti disegnavo Gintama e interessi più “nipponici” nel mio tempo libero.

Durante il Liceo ho studiato moltissimo l’arte tradizionale: disegno dal vero, anatomia, falegnameria, scultura da argilla o da materiali di scarto. La mia passione per l’acquerello è nata, in realtà, da un professore che non mi stava particolarmente simpatico, ma che era veramente un mostro nel suo genere di arte. Non era mai completamente soddisfatto di ciò che creavo, commentava sempre con un qualche genere di complimento, seguito da un “ma”. Questo mindset mi ha insegnato ad essere autocritica, e ha decisamente smorzato l’ego smisurato che avevo da piccola. 

Come risultato di ciò imparato durante il Liceo, posso dire che ancora oggi, se mi trovo in burnout o in art block, tramite la copia dal vero e il fai da te riesco a ritrovare l’ispirazione!

Successivamente, mi sono iscritta alla Scuola di Comics per studiare fumetto. Il primo anno era completamente dedicato all’uso della matita e all’anatomia, mentre il secondo all’inchiostrazione e allo studio specifico dei generi; purtroppo, il francese, l’italiano umoristico (tipo Topolino) e l’americano sono gli unici tre generi che abbiamo avuto occasione di studiare. Come progetto finale, invece, avremmo dovuto poi arrivare alla creazione di un proposal di 10 pagine, basato su una storia scritta autonomamente - insomma, come se fosse un progetto da portare ad una casa editrice. Detto ciò, il mio primo approccio serio al digitale è stato dettato dalla pandemia, abbiamo preso tutti delle tavolette e abbiamo dovuto passare l’estate tra la seconda e la terza ad imparare a disegnare in digitale, proprio perché era necessario un tipo di supporto diverso per poter continuare ad usufruire degli insegnamenti, sebbene a distanza. 

Studiando alla Scuola di Comics, ho compreso la concezione che la maggioranza ha dei fumettisti, almeno in Italia: devi lavorare almeno 50 ore alla settimana, anche solo per poter raggiungere colui che è più indietro nell’ambito. Anche se stavamo ancora studiando, non c’era mai tempo per riuscire a fare tutto, soprattutto dovendo passare dal digitale al tradizionale e viceversa.

 

Y: L’arte è un ambito impegnativo, seppur estremamente soddisfacente. Che impatto ha avuto sulla tua vita fino ad ora?

V: Il primo forte impatto che l’arte ha avuto sulla mia vita l’ho riscontrato durante il periodo delle medie. Avendo una grande passione per i manga gotici e tendenzialmente un po’ più oscuri, mi capitava spesso di imbattermi in figure religiose rappresentate all’interno delle storie. Provengo da una famiglia di Testimoni di Geova e, al tempo, il pensiero di consumare media che menzionavano angeli e demoni, oltre ad utilizzare spesso simbolismi religiosi, mi faceva sentire quasi blasfema. Crescendo, mi sono resa conto di quanto siano stati fondamentali questi manga per me, dandomi la possibilità di esplorare questo lato della religione in autonomia. 

Durante il periodo dell’adolescenza ho anche avuto modo di vedere gli effetti dell’arte sulla salute mentale, in più di un’occasione. Ci tengo quindi a specificare che è di estrema importanza prestare attenzione non solo alla propria salute mentale, bensì anche a quella di altri artisti - non si sa mai quando una persona potrebbe raggiungere un punto di rottura, o raggiungere un  malessere tale da precludere a se stessa la possibilità di continuare a fare qualcosa che la rende felice.

Come menzionato prima, per i miei primi anni di vita l’arte era assolutamente fondamentale per poter comunicare. Crescendo, invece, è diventata un mezzo per condividere pensieri e passioni con gli altri, formando così dei legami duraturi. È partita come una necessità infantile, diventando poi la manifestazione di un ego pre-adolescenziale e, successivamente, una condivisione adolescenziale. Mi sono resa conto di come sia ora una necessità, un’ossessione così forte che un tempo mi infastidiva: non potevo guardare un film che la mia mente andava direttamente ad una sorta di processo di disegno mentale, astratto. 

Inoltre, nel 2020 ho vissuto un momento particolarmente pesante che ha profondamente segnato sia me che mia sorella più piccola: avevo la responsabilità di far sfogare lei tramite metodi normali, come pianti, dormite lunghe e crisi di rabbia - essendo la maggiore, invece, dovevo trovare un modo per potermi sfogare di nascosto, ho cominciato quindi ad esternare la mia rabbia e le mie crisi attraverso dei disegni privati che non ho mai pubblicato. Erano tutti a penna nera o penna rossa, sempre per ricollegarmi al pensiero spiegato precedentemente: disegno a penna perchè non si può cancellare l’esperienza che ho subito, è un ricalco che questa esperienza esiste, ma è anche una spinta verso un futuro migliore. Penso che mi sarei completamente consumata, se non avessi avuto anche solo due minuti dedicati ad un momento di disegno personale. Una volta terminato il periodo mi sono trasferita per fatti miei, e il disegno è tornato ad essere uno svago e uno sfogo. 

Più generalmente, nel periodo della pandemia l’arte è stata fondamentale per mantenermi occupata e legata alla realtà. 

C’è stato un anno in cui, per motivi personali, stavo così male che non riuscivo più a disegnare - era frustrante non riuscire a spiegare e a comunicare ciò che stavo vivendo. Inoltre, era in concomitanza con un periodo di forte ossessione nei confronti dei social, volevo utilizzarli come prova di quanto io fossi abile e capace, come dimostrazione che anche una persona come me ci sarebbe riuscita. Non nego che queste situazioni mi abbiano segnato profondamente, hanno lasciato un segno indelebile - detto ciò, mi hanno anche resa più forte e hanno consolidato ulteriormente l’importanza dell’arte nella mia vita. Se penso a me stessa non mi immagino mai senza un foglio, o senza un pensiero almeno dedicato all’ambito.

 

Y: La tua arte ti permette di sostenerti economicamente? 

V:  No. Più precisamente, diciamo “sni.” 

A parte le fiere e le commissioni, fortunatamente ho un lavoro di riserva - creo le copertine per uno youtuber italiano. Ovviamente, se riuscissi a partecipare a più fiere avrei più entrate mensili, ma per poter guadagnare in questi ambienti è necessario prima investire un po’ di soldi nella produzione di merch e nelle iscrizioni alle Artist Alley delle fiere, purtroppo non ne ho sempre la possibilità garantita. Fortunatamente, vivendo con i miei genitori non ho necessità di dover guadagnare abbastanza per mantenermi completamente, le mie entrate attuali sono abbastanza per coprire le mie spese mensili personali.

 

Y: Che piattaforme utilizzi per promuovere il tuo lavoro? Credi che debbano essere sistemate e migliorate in alcun modo? Pensi che una nuova piattaforma riguardante solo l’arte digitale potrebbe essere utile?

V: Al momento pubblico e cerco di mantenermi attiva su Instagram, sebbene ultimamente mi sia lanciata su Telegram - non mi aspettavo che ci fosse così tanta gente che lo utilizza come “social”, e soprattutto non avevo idea di quanto fosse utile per la comunicazione, mi piace moltissimo il tipo di comunicazione come se fosse una chat di gruppo, sembra molto più personale ed intimo! Inaspettatamente, però, la maggior parte dei preordini li ottengo soprattutto su Facebook!

Come social saltuario, quando mi ricordo, utilizzo Tiktok e Twitter, e ora come ora sto provando ad utilizzare BlueSky. Sinceramente non capisco molto Twitter, mi sento un po’ boomer; per quanto riguarda Tiktok, invece, posso fare dei video dove parlo e quindi mi permette di comunicare direttamente, ma da quando hanno introdotto la promozione tramite ads la situazione è caduta a picco.

Tornando ad Instagram, da metà del 2021 il reach è assolutamente atroce e sta spingendo sempre più persone ad allontanarsi dalle proprie passioni, ormai frustrati dalla mancanza di riconoscimento.

 

Y: Hai mai avuto problemi riguardanti il copyright e la sua gestione? 

V: Sinceramente, non ho mai pensato che le mie opere potessero essere copiate o rivendute da terzi, perchè essendo disegnate in tradizionale il processo era fin troppo complesso per valerne la pena - ma mi sono dovuta ricredere. Quest’anno ho avuto modo di scoprire delle mie opere utilizzate per dei portachiavi su Aliexpress:  ho quindi contattato il venditore sulla piattaforma, ho mentito dicendo che le opere erano protette da Copyright, e l’inserzione è stata rimossa subito.

Inoltre, ho avuto dei problemi di “tracing” fatto da piccoli artisti alle prime armi, ma chiaramente erano situazioni molto più semplici da risolvere.

 

Y: Qual’è la tua opinione sugli NFT e sul loro impatto sul mondo dell’arte digitale? Sei favorevole all’uso della tua arte da parte delle Intelligenze Artificiali per arricchire il loro database?

V: Per quanto riguarda gli NFT, devo dire che al tempo mi ero informata particolarmente sul loro impatto ambientale, piuttosto che sull’impatto artistico, e già quello mi aveva spinto verso un’opinione molto negativa della situazione. Come artista, inoltre, mi sembrava generalmente un po’ uno “scam”: è l’ennesimo esempio di una svendita personale per arricchirsi, per guadagnare followers e influenza sui social. Mi duole dirlo, ma moltissimi fumettisti si sono completamente svalutati partecipando a questi progetti, sempre e solo per ambizioni economiche.

Sull'intelligenza artificiale, invece, si può aprire un grande dibattito. Utilizzata nel modo corretto, in realtà, potrebbe diventare uno strumento di fondamentale importanza. Se esistessero dei database creati da opere di artisti appositamente pagati per questo lavoro si potrebbe creare una sorta di biblioteca a disposizione di chiunque abbia necessità di imparare, o generalmente di reference, ispirazione ed esempi. Potrebbe essere una soluzione molto interessante non solo per artisti alle prime armi, ma anche per professionisti: l’ideale sarebbe avere la possibilità di creare una sorta di database personale, così che l’IA crei uno sketch partendo dal proprio stesso stile, così che ogni artista lo possa elaborare per poi portarlo ad un’opera completa tramite mano umana, velocizzando molto il processo.

 

Y: Cosa cambieresti del panorama artistico attuale se potessi? Cosa ti aspetti dal futuro dell’arte?

V: Sinceramente, vorrei che ci fosse meno ipocrisia e indifferenza tra gli artisti stessi. Ho notato che questo problema è prevalentemente all’interno dell’ambito nazionale; c’è veramente meno falsità e meno competizione quando si ha a che fare con artisti esteri, o con artisti italiani che lavorano spesso con clienti esteri.

Tutti gli artisti sanno benissimo come ci si sente ad essere sempre insicuri, ad essere “quelli strani” e ad avere tutte le incertezze del mondo a riguardo della propria arte. Sono sinceramente stufa della falsità presente all’interno del panorama italiano, spesso le persone si aggrappano a segreti e confidenze, e li utilizzano per mettere altre persone sotto una cattiva luce. C’è già abbastanza cattiveria, non serve alimentare la negatività.

Inoltre, vedo sempre più gente che non ha minimamente idea di quanto sia complesso e “reale” il lavoro dell’artista, tendendo quindi a svalutare l’operato altrui. Purtroppo vedo questo genere di pensiero sia da persone all’esterno dell’ambito che da artisti proprio presenti nell’ambiente, il che è profondamente deludente. Vorrei solo un po’ di empatia in più. Vorrei sinceramente che gli artisti, soprattutto coloro entrati nell’ambito da poco, si rendano conto che la competizione e il bullismo non portano da nessuna parte: il quieto vivere dovrebbe essere la base, non serve essere sempre amiconi di tutti, ma un minimo di rispetto ed empatia sono fondamentali.

 

Y: Che ne pensi della gestione delle artist alleys in fiera al giorno d’oggi? Ci sono esperienze che vorresti condividere con noi?

V: Mi ricollego alla mentalità menzionata in precedenza, a quel pensiero tipicamente nord-italiano che sostiene che se non si guadagna non si vale nulla. Sembra essere il motto dei gestori delle Artist Alley, ora come ora - non hanno ancora capito che meno spazio danno e più alzano il prezzo, meno gente parteciperà alle fiere, perdendo così sempre più potenziali visitatori. Purtroppo, gli organizzatori delle fiere sono ancora incastrati nell’antica visione delle fiere italiane, accompagnata da una repulsione nei confronti degli eventi esteri che, invece, stanno puntando tutto sulla divulgazione dell’arte - ottenendo un successo notevole.

Ritengo che la gestione delle artist alley dovrebbe essere data, idealmente, ad un artista - qualcuno che sa esattamente cosa significa essere all’interno dell’ambito creativo. Inoltre, penso che sia di fondamentale importanza una minima revisione dei portfoli per poter essere accettati all’interno di queste aree.

Parlando per esperienza, posso dire di aver vissuto degli episodi veramente negativi nel settore. Per esempio, ci sono state occasioni dove siamo eravamo posizionati sotto a delle scale, a metà tra venditori di dolci e addetti a delle stampanti 3D, senza un minimo di senso tra gli stand presenti - il tutto accompagnato da un orribile odore proveniente da un tombino a pochi metri da noi. Sarebbe bastata una minima organizzazione per gestire lo spazio fiera in un modo migliore, così da valorizzare gli artisti presenti e non “buttarli lì a caso”. Non penso che sia così complesso prestare un minimo di attenzione in più e rendere le Artist Alley un minimo più appetibili almeno a livello estetico, così da attirare più persone e quindi giovare a tutti. Inoltre, non sta né in cielo né in terra far pagare 5 euro una sedia, non avere dei bagni disponibili per gli standisti, oltre ad aumentare il prezzo dei tavoli dopo ogni fiera, fornendo però dei tavoli minuscoli senza neanche posizionare gli artisti in aree decenti.

 

 

Ringraziamo moltissimo Betta per aver partecipato all'intervista!

Nel caso foste interessati ai suoi lavori, potete trovarla su Instagram come @viennettart.

Per qualsiasi dubbio o quesito riguardante la gestione del Copyright e la tutela delle vostre opere, vi ricordiamo che il team di Rights Chain è sempre a vostra disposizione! Vi auguriamo una buona domenica!

Yako.

 

A proposito dell'Autore o Autrice

Yako

Yako

Articolista, (Lui/Loro)

Content Creator in ambito cosplay, gaming e animazione. Con un diploma in lingue straniere e una grande passione per la cultura orientale, scrive di diritto d’autore per proteggere i lavori di artisti e giovani menti. Cosplayer dal 2015, Yako è un sostenitore dell’identità di genere e dello sviluppo della propria creatività tramite attitudini personali: che siano giochi di ruolo, cosplay o scrittura.